L’olivo è una delle piante più coltivate al mondo, con circa 810 milioni di esemplari, di cui l’88% nell’area mediterranea. Anche in Italia la coltura dell’olivo riveste notevole importanza agronomica, con circa il 7% della SAU, di cui 2/3 in coltura specializzata e 1/3 in coltura promiscua. La coltura dell’olivo è la coltura arborea che sta trovando maggiore rispondenza nell’applicazione dei metodi di coltivazione biologica, sia per ragioni tecniche e colturali, sia perché l’oliveto è un agroecosistema fra i meno alterati dall’azione dell’uomo. L’olivo si adatta a condizioni di scarsa disponibilità idrica e nutrizionale, riuscendo a vegetare e produrre anche su terreni molto ricchi di scheletro, dove ogni altra coltura arborea risulterebbe impossibile, garantendo comunque un reddito. La pianta poi, ha anche un valore ecologico, di conservazione dei terreni fortemente declivi ed un valore paesaggistico non trascurabile, grazie alle caratteristiche dei tronchi e del fogliame. L’olivo è una pianta tipicamente xeromorfa, con foglie piccole, fornite di cuticola spessa. L’apparato radicale, piuttosto superficiale ma espanso, è in grado di assorbire acqua dal terreno, anche quando i valori tensiometrici sono estremamente bassi. Il clima ideale è un clima di tipo temperato, con temperature minime non inferiori a 8 - 10° C sotto zero, soprattutto in certi periodi, quando la pianta è in attività vegetativa. L’altitudine a cui può essere coltivato, non supera generalmente, i 500 - 600 m.s.l.m. alle nostre latitudini. Il fabbisogno minimo di acqua è di 200 - 400 mc/ha, a seconda delle altre variabili climatiche. Per il resto, si adatta bene alle diverse condizioni climatiche ed edafiche, anche se si avvantaggia, come le altre piante, di terreni relativamente profondi e fertili, dove le produzioni spuntano i migliori valori. La sua adattabilità è dovuta, in particolare, alle numerose cultivar selezionate, più che altro, dalle diverse condizioni climatiche che si verificano nell’ampio areale che interessa la coltura. Esistono, infatti, cultivar autoctone, nei vari ambienti, ben adattate, ma in parte, sostituite da altre cultivar a maggiore produttività. Ultimamente però, anche per effetto dell’agricoltura biologica, si registra una certa inversione di tendenza e la ricerca di ecotipi in grado di svilupparsi in particolari condizioni climatiche e pedologiche, con funzione quindi, di maggiore rusticità, minori rischi biologici e di attacchi parassitari. Nell’agricoltura biologica, la valorizzazione di cultivar autoctone diventa una scelta tecnica essenziale per garantire maggiore resistenza alle avversità climatiche e fitopatologiche. Le cultivar autoctone più note in Toscana sono: Frantoio, Leccino, Moraiolo, Maurino, Madremignola e Pendolino. Fra queste, quella che presenta maggiore resistenza al freddo è il Moraiolo, segue il Leccino e le altre; Maurino e Pendolino sono impollinatori, assolutamente necessari.