Lungo tutta l'esperienza post-unitaria che conduce alle porte del Novecento, le politiche governative e amministrative alternatesi per tutto il quarantennio nel Mezzogiorno italiano ripropongono metodologie di intervento e orientamento che suscitano primariamente malcontento generalizzato e promuovono soprattutto l'utilizzo reazionario della criminalità a più largo spettro, legalizzando politicamente la pratica mafiosa e distorcendo le risultanze dell'allargamento parziale del sistema elettorale. Tendono maggiormente, cioè, a identificare poteri particolari di gruppi privilegiati dalla famigerata estrazione e connessioni gerarchiche a più alti poteri nazionali tramite non troppo ordinarie dinamiche partitiche che incrociano speculazioni sospette, fami affaristiche, corruzioni parlamentari, ombre bancarie, saccheggio di risorse, profitti illeciti e illeciti modi di affermazione.
È sotto questa luce che va riletto il testo di Mosca, sempre a cavallo, invero, tra denuncia e difesa di un ristretto gruppo di potere dagli intensi e contraddittori chiaroscuri. In appendice uno scritto di Pio La Torre sulle origini della mafia.