Il suo nome è John Carpenter, principe della mia invincibile, stupenda tenebra virulenta...
John Carpenter che ora, fiero e altezzoso, cammina da gigante nello spoglio panorama cinematografico odierno, seminando ancora la titanica venustà della sua elegantissima bellezza poetica. A lui, maestro indiscusso di una Settima Arte forse perduta, mi prostro adorante, genuflesso in segno di sacra ammirazione sconfinata, attingendo a ogni singolo suo fotogramma per intagliare e intarsiare questa mia opera monografica che non è agiografica o santificante la sua monumentale grandezza rinomata, eternamente tonante, ma è un ritratto oggettivamente analizzante ogni suo film immortale e infinitamente splendente. Film dopo film, mi soffermo dinanzi a ogni sua opera con minuziosità chirurgica, dapprima malignamente per sfidare tanta magniloquenza così delicatamente adamantina, e poterne scovare i possibili difetti o le eventuali pecche ma poi, sebbene ardisca a voler trovar nelle sue opere incongruenti, registiche inesattezze e rudezze stilistiche, sebbene sia tentato dal voler approntare delle correzioni alla sua radicale, elevatissima visione, rimango soltanto incantatoriamente ipnotizzato dalla sua lucida, profetica, garbata ed equilibrata solennità intoccabile, poderosa e irresistibile. Perché è John Carpenter e non posso che giustamente venerarlo. E porgere questo mio sentito omaggio a lui, sì, al prince of darkness, estasiandomi nell’estatica luce del suo Cinema rivelatorio e magnificente.