Ufficiale e gentiluomo: Virtù civili e valori militari in Italia, 1896-1918

Feltrinelli Editore
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All’inizio del Novecento, processi di lungo periodo nello stabilire regole di comportamento, di rispettabilità, di socialità della cosiddetta “civiltà borghese” sembravano al culmine. Allo stesso tempo, si trattava di una società in cui la professione militare, l’orgoglio nazionale e la retorica della guerra occupavano un posto fondamentale – di una società che stava correndo verso il baratro della Prima guerra mondiale, con i gas, le trincee e lo shock di una disumanizzazione di massa come non se ne erano mai viste. Lorenzo Benadusi indaga questo apparente paradosso tra “civilizzazione” (seguendo Norbert Elias) e “brutalizzazione” (seguendo George Mosse) nell’Italia monarchica, coloniale e poi impegnata nella Grande guerra, puntando l’attenzione dello storico sull’educazione morale e civile del maschio borghese. Dalle avventure coloniali ai massacri del Carso, dalla missione civilizzatrice delle armi e delle armate italiane al contraccolpo della smobilitazione e della “vittoria mutilata”, tutta una costellazione di pratiche, miti, retoriche della mascolinità, della rispettabilità e del valore veniva a formarsi attraverso la lente del militarismo e della funzione militare, in una fucina che in parte forgerà anche l’ideale dell’uomo nuovo fascista. Uno sguardo del tutto innovativo alla formazione della borghesia italiana, passata attraverso un militarismo che avrebbe dovuto fornirle un nerbo, che però si infrange nell’esperienza del fronte e delle trincee, dove la rispettabilità borghese appresa a scuola e in famiglia e quella in uniforme appresa in caserma sembrarono a molti del tutto inutili per rimanere in equilibrio sull’orlo dell’abisso.

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