“Tutta l’Europa è scossa e in grande ansietà; la quiete sepolcrale che dai superbi tiranni si diceva ‘pace’ ed era ‘morte di popoli’ in tanti lustri di turpe schiavitù, ha cessato per dar luogo all’azione di vita e di risorgimento. Finalmente siamo alla vigilia del tremendo conflitto dei due principii, indipendenza o schiavitù, ‘assolutismo o libertà’, né v’ha transazione o altra via conciliativa.”“La vicenda specifica di Mameli illustra con efficacia la condizione di ‘esilio in patria’ di cui hanno sofferto a lungo i democratici nella storia italiana. Infatti, essa allude alla difficoltà con cui il termine ‘repubblicano’ è entrato nella cultura degli italiani. Una parola – ‘repubblica’ – e un sentimento che non hanno mai goduto di una cittadinanza particolarmente benevola e che proprio nel 1848 acquistano un connotato preciso...Negli scritti di Goffredo Mameli c’è tutto il ’48 italiano: l’anelito della patria; la convinzione che la storia si produca solo attraverso un riscatto popolare; il culto del gesto eroico; l’ansia dell’azione esemplare; l’idea che la storia si fa solo stando nei processi concreti, ‘sporcandosi le mani’. In sintesi: la convinzione che l’azione politica sia prima di tutto partecipare in prima persona. Due tratti lo collocano nel canone del ribelle moderno: tutte le rivoluzioni appaiono come insurrezioni della gioventù e, soprattutto, partecipare significa non risparmiarsi, consumare tutte le proprie energie. Come molti altri dopo di lui, per arrivare fino a oggi, ribellarsi ha significato sostenere ‘sei quello che fai’ contrapposto senza possibilità di mediazione a ‘sei quello che pensi’.”(dall’Introduzione)