Quello dei corrieri in bicicletta è un mestiere allo stesso tempo antico e recente. Nel mio immaginario i primi furono le staffette partigiane che per scambiarsi messaggi usavano uomini e donne che coraggiosamente si mettevano in strada per recapitare messaggi tra le brigate combattenti. Per citarne uno soltanto, il grandissimo Gino Bartali a suo modo fu cruciale nell’aiutare la lotta per la liberazione e salvò molte vite umane. Poi venne la recente epoca, siamo a metà anni ’80, della necessità di scambio missive tra le aziende di business, proprio un’istante prima del sopravvento dell’era di internet, ma sufficiente a creare uno zoccolo duro di messenger americani che svilupparono, per praticità e profitto, un mestiere fatto di semplice complessità, muovendosi all’interno della rete urbana tra le più trafficate al mondo. Da lì seguì tutta l’iconografia dello scatto fisso urbano poi ereditata anche qui nel vecchio continente. Infine, la transazione dal trasporto per lo più di buste e lettere alle merci, in piccoli colli (ma non poi così piccoli...), che ha per la terza volta reinventato un modo di percorrere la città e di servire piccole e grandi aziende in modo semplice, veloce e (guarda caso) anche ecologico.Un altro aspetto importante, che ben traspare nel libro, è il grande senso di comunità che i messenger hanno tra loro. Benché per l’intero arco della giornata un corriere lavori da solo, il ritrovarsi, nella propria città quotidianamente, e poi con una buona cadenza darsi appuntamento in tutta Italia, Europa e perfino nel mondo per far vivere questo forte potere aggregativo che ha la bici usata come strumento di lavoro, fa dei cicli corrieri un piccolo grande popolo senza analogie ritrovabili in altre discipline o mestieri. Si può dire che una volta diventato corriere la tua casa è la casa di tutti e l’ospitalità è sacra al pari di come veniva considerata nell’antica Grecia.Quindi sì, serve questo libro a chi è digiuno di ciclismo tanto quanto a chi intende la bicicletta come puro attrezzo sportivo. La profonda ed articolata analisi di Nicola, che ci mette anche delle bellissime storie personali a rendere unico questo scritto, rende quel po’ di giustizia necessaria a far sì che la prossima volta che in auto saremo rallentati da una ingombrante bici cargo con un ragazzo che si affanna sui pedali sapremo che il suo è un lavoro vero, non un ripiego in attesa di un’occupazione migliore, e che quello che fa libera un po’ la nostra città dal peso della dipendenza dai mezzi motorizzati, dandole anche un colore migliore.