C’è la forza di una tragedia greca, nella vita di Michael Schumacher. Il campione dei campioni del volante, imbattibile, indistruttibile. Semplicemente il migliore, in tutto. Sette titoli mondiali, 91 successi, 68 pole position. Record imbattuti: chissà se ci sarà mai qualcuno che riuscirà nell’impresa di superarli. Difficile, molto difficile. A Imola, il 1° maggio 1994, nel giorno più nero, è testimone diretto dello schianto della Williams di Senna contro il muro della curva del Tamburello. Nel 1996 viene chiamato alla Ferrari da Luca Montezemolo e Jean Todt, come un salvatore. Un avvio difficile, talvolta disastroso, con macchine che perdono i pezzi. Poi l’attacco ai piani alti della classifica e la conquista del cuore degli italiani, a suon di vittorie. Ma la gente rimane colpita anche dal suo comportamento fuori pista: un uomo sempre pronto ad aiutare i più deboli, con la famiglia al centro della propria esistenza. Un antipersonaggio, o meglio: un uomo normale. Come pilota della Ferrari non si è più fermato. Cinque titoli mondiali uno dietro l’altro, dal 2000 al 2004. In tutta la sua vita ha fatto tutto sempre come fosse la prima volta. Vinceva e si divertiva. Correva e non si stancava, con una naturalezza e una facilità disarmanti. Fino al tragico, beffardo incidente di Méribel.