La cucina piacentina è cucina ricca e antica. Sono secoli che a Piacenza si mangiano cose buone, come quel “tortello del Petrarca” offerto al grande poeta nel 1351. Il cardinale Alberoni, alla corte di Spagna, se ne faceva un vanto, e spesso omaggiava i nobili con i prodotti della sua terra di origine. La corte di Maria Luigia porta una ventata di freschezza e i suoi pasticceri fanno conoscere ai piacentini le loro specialità come i chìfàr, ancor oggi nella colazione di tanti cittadini. C’è la bomba di riso, dove il giovane piccione della colombaia finiva la sua carriera, i pesci del Po che da “Cattivelli” finiscono in fritture croccanti, quegli gnocchetti tirati a mano detti pùarèi che, accompagnati ai fagioli, si trasformano in una zuppa energetica, le mezze maniche di frate ripiene che ti conciliano con i tuoi peccati, almeno a tavola. Ci sono i piatti di tante feste che, iniziate con “burtlèina” e salumi, continuate con i tortelli con la coda, la polenta e lo stracotto, finivano in gloria con la torta di fichi di Albarola. Il tutto innaffiato con i generosi vini delle valli piacentine.